NUOVA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI UDINE SUI MUTUI IN VALUTA ESTERA

Con sentenza dello scorso 4 aprile, il Tribunale di Udine accoglie la linea dello Studio su più versanti. Le clausole rischio cambio non costituiscono strumenti finanziari distinti dal contratto di finanziamento. L’usura teorica non è neanche astrattamente concepibile ove la mora non sia stata mai applicata. La determinazione del rapporto di cambio non costituisce potere di fissazione unilaterale del tasso da parte del mutuante.

Confermata ancora una volta la direzione indicata dalla Cassazione in materia di derivati impliciti, grazie a una nuova pronuncia riguardo al caso di un mutuo espresso in valuta estera, con conversione in euro del capitale al momento dell’erogazione e del pagamento delle singole rate di rimborso.

La sentenza del Tribunale di Udine pubblicata il 4 aprile 2022 ribadisce che la clausola rischio cambio non costituisce derivato implicito, accogliendo la linea argomentativa degli Avvocati Emilio Girino e Roberto Pavia, difensori dell’intermediario, i quali spiegano: “Si tratta di una pattuizione importante su cui avevamo già un precedente. Questa sentenza lo conferma e, richiamando la giurisprudenza unionista, osserva che le operazioni di conversione della somma concessa in prestito e della determinazione delle rate non costituiscono strumenti finanziari distinti dal contratto di mutuo, bensì esclusivamente una modalità di esecuzione delle obbligazioni che dal contratto stesso derivano”. Lo stesso Tribunale si era espresso in questo senso con sentenza dello scorso 23 agosto.

La sentenza di aprile è altresì utile a fare chiarezza su altri temi emersi dal caso. Il Tribunale rigetta l’ipotesi, sostenuta dalla parte avversa in materia di determinazione del rapporto di cambio, secondo cui l’indicizzazione al cambio corrente in euro del pagamento delle rate del mutuo può costituire potere di fissazione unilaterale del tasso da parte della Banca mutuante: la clausola, osserva invece la sentenza, si limita ad affidare alla Banca la mera esecuzione dell’operazione che converte la rata dalla valuta estera all’euro, secondo il tasso di cambio determinato giornalmente dalla BCE.

Allo stesso modo, rilevanti considerazioni vengono espresse dalla sentenza riguardo al caso di usura teorica. Il worst case scenario, prospettato dalla parte avversa, era infatti quello di un ipotetico debitore che non pagasse nessuna rata ma soltanto gli interessi di mora per tutta la durata del contratto, con un conseguente possibile sforamento del tasso soglia individuato dal MEF. “Il Tribunale ha osservato come nessun pagamento a titolo di interessi moratori sia mai avvenuto nel caso di specie”, illustrano gli Avv. Girino e Pavia, “il che esclude l’interesse ad agire per l’accertamento dell’illegittimità del tasso previsto nel contratto ma non applicato”.

Ulteriori indicazioni emergono dalla sentenza sia riguardo al noto tema dell’oggetto del contratto con riferimento a elementi estrinseci – che nel caso del tasso di interesse variabile non provocano alcuna  nullità della clausola essendo obiettivamente individuabili grazie al cambio della valuta – sia riguardo alla vessatorietà di clausola non chiara, recisamente esclusa dal Tribunale: il meccanismo che prevede l’accollo del rischio di cambio alla parte mutuataria consente al consumatore medio di comprendere le modalità del calcolo di tasso e della conversione, nonché le possibili conseguenze delle variazioni dell’indice e del cambio sulle sue obbligazioni.

I dettagli relativi alla sentenza del Tribunale di Udine possono essere consultati cliccando qui. Sul nostro Sito sono sempre disponibili le massime delle sentenze in un archivio costantemente aggiornato. Sul perché l’indicizzazione al cambio non costituisca derivato implicito, si rinvia all’articolo dell’Avv. Leonardo Gregoroni su Milano Finanza e alla News relativa alla sentenza 4579 (22 febbraio 2021) della Corte di Cassazione.