Uomo avvisato mezzo salvato? Oggi chi rischia è chi lancia l’avviso
Il Consiglio di Stato ha confermato la parziale correttezza di una decisione dell’Autorità Antitrust (Agcm) con la quale era stata sanzionata Facebook per una prassi adottata sino al 2018. Secondo i giudici amministrativi è una pratica scorretta offrire servizi agli utenti di social network inducendoli a iscriversi alla piattaforma con la promessa gratuità delle prestazioni, senza fornire adeguate e immediate informazioni sull’uso dei dati personali dell’utente anche a fini di profilazione commerciale.
La decisione offre diversi spunti di riflessione. Domanda: come mai l’Agcm si interessa del trattamento di dati personali, ossia di una questione che dovrebbe essere di competenza del Garante Privacy? La risposta è semplice: nel provvedimento, l’Agcm esamina in realtà la correttezza della comunicazione dell’operatore commerciale sotto altri profili. Ciò che rileva per l’Agcm è che il social network non informava adeguatamente l’utente dell’intento commerciale perseguito dallo stesso e volto alla monetizzazione dei dati personali. Viene dunque in rilievo l’aspetto della correttezza e delle tempestività delle informazioni rese ai consumatori.
Negli ultimi anni, le sanzioni dell’Agcm hanno riguardato soggetti operanti in settori tra loro molto diversi. Spesso nei procedimenti sanzionatori è sorta la questione circa la competenza dell’Agcm a decidere in settori regolamentati, ove erano state istituite altre Autorità di vigilanza e dettate speciali norme volte a garantire la trasparenza del mercato. I contrasti giurisprudenziali sono stati superati anche a seguito di una riforma legislativa, che ha confermato l’ampio raggio di azione dell’Antitrust.
Sono vietate tutte le pratiche contrarie alla diligenza professionale, false o idonee a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore medio. La normativa si basa su una serie di clausole generali la cui interpretazione poggia le basi su orientamenti consolidati e che hanno consentito di adattare i precetti alle mutevoli condizioni di mercato e alla percezione del consumatore medio, specie in relazione alla realtà delle reti.
In molti settori regolamentati esistono già norme che prevedono specifici obblighi informativi in base ai medesimi generali principi di trasparenza e chiarezza. Nell’applicazione della disciplina sulle pratiche commerciali scorrette si richiede però qualcosa di più. Nella menzionata decisione del Consiglio di Stato si fa riferimento a un obbligo di estrema chiarezza, gravante sull’impresa sin dal primo contatto con il consumatore, rispetto agli elementi essenziali dell’offerta.
Le informazioni rese sul mercato devono essere idonee a prevenire decisioni non consapevoli del consumatore, in quanto non adeguatamente informato. Si tratta a ben vedere di una rigorosa attuazione del generale obbligo di buona fede: alle imprese è richiesto di preservare l’interesse del consumatore ad ottenere il risultato a cui mira. Si è giunti così a un innalzamento del livello di diligenza richiesto a tutti gli operatori che si rivolgono a consumatori e microimprese, specie in settori complessi. In questo contesto normativo, il vecchio proverbio -uomo avvisato mezzo salvato- non può più suonare come una velata minaccia per il destinatario. Oggi, più che mai, a stare in guardia dovrebbe essere chi lo pronuncia.