Il tribunale Ue mette al bando la foglia di cannabis

La prima preoccupazione di chi deposita un marchio è che sia nuovo e diverso dai precedenti. Ma non basta; un altro requisito, trascurato dai più, è che il segno non sia contrario «all’ordine pubblico o al buon costume».

Così prevedono l’articolo 14 del Codice della Proprietà Industriale e l’articolo 7 (comma 1, lettera f) del Regolamento sul marchio dell’Ue (Reg. Ue 2017/1001). L’ampiezza del concetto di ordine pubblico e l’instabile nozione di buon costume di certo non soccorrono il creativo. Un esempio eloquente e singolare viene da un recente provvedimento del Tribunale Ue, chiamato a valutare la correttezza di una decisione della Commissione di Ricorso dell’Ufficio Europeo della Proprietà Intellettuale (Euipo). L’Ufficio aveva negato tutela al titolare di una domanda di registrazione di un marchio europeo raffigurante la scritta «Cannabis store Amsterdam» su uno sfondo di foglie di cannabis. La decisione è stata riesaminata dalla Commissione di Ricorso dell’Euipo, che ha affermato l’esistenza di un impedimento assoluto alla registrazione del segno per la contrarietà all’ordine pubblico.

E dinanzi al Tribunale Ue il marchio non ha avuto miglior sorte. Secondo il giudice unionista, la contrarietà del segno all’ordine pubblico deve valutarsi sulla base della percezione «concreta e attuale» del pubblico di riferimento, che non è necessariamente in possesso di conoscenze scientifiche o tecniche precise in materia di stupefacenti. La difesa del marchio si basava infatti sull’insignificanza chimica della foglia di cannabis, di per sé priva d’effetti psicoattivi, presenti invece la marijuana, sostanza ottenuta dalle infiorescenze degli esemplari di cannabis essiccate, contenenti tetraidrocannabinolo (Thc).

Per il Tribunale la faccenda è diversa: la foglia di cannabis, divenuta nella percezione del pubblico di riferimento «simbolo mediatico della marijuana», congiunta al riferimento ad Amsterdam quale emblema del mercato legalizzato della sostanza e all’impiego del termine «store» porta ad associare i prodotti contraddistinti dal marchio a quelli venduti nei negozi di sostanze stupefacenti. Posto che nella maggior parte dei Paesi Ue l’uso della marijuana oltre certe soglie è illegale, è stata ritenuta contraria all’ordine pubblico la registrazione di un marchio che induca i consumatori a ritenere che i prodotti contraddistinti contengano sostanze stupefacenti, perché ne inciterebbe e banalizzerebbe l’uso. Il tenore del provvedimento dimostra che la valutazione dell’illiceità del marchio rischia di essere discrezionale, legata alla sensibilità dell’organo giudicante e quindi difficilmente prevedibile al momento del deposito della domanda di registrazione del segno. Una conferma di questo rischio viene anche dalle corti nazionali.

Ad esempio: i tribunali di Milano (ordinanza 17.12.2005) e Bari (sentenza 12.7.2007) assunsero posizioni opposte sul marchio figurativo «A-style», che ritrae due figure umane stilizzate nel compimento di un atto sessuale. Il primo ha dichiarato l’illiceità del segno per contrarietà al buon costume mentre il secondo ha negato che il riferimento sessuale fosse immediatamente percepibile dai consumatori. In tempi di crescente provocazione figurativa e di reflussi censori lo studio preliminare alla registrazione di un marchio non può fermarsi a una ricerca d’anteriorità

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Laureata a pieni voti nel marzo 2016 presso l’Università degli Studi di Milano con una tesi in Diritto Industriale, entra a far parte dello studio nell’aprile 2016.
Si occupa prevalentemente di proprietà industriale e intellettuale, delle problematiche connesse alla concorrenza sleale e del diritto antitrust e svolge attività di ricerca e collaborazione con il Professor Ghidini.