Sulle fideiussioni Abi l’ultima pagina non è ancora stata scritta

Complice la crisi economica e la conseguente difficoltà in cui versano molte imprese, negli ultimi anni è salita alla ribalta una nuova ancora di salvezza. Va sotto il nome di fideiussioni Abi. Il tema è noto: l’associazione di categoria delle banche aveva predisposto un modello di fideiussione omnibus e la Banca d’Italia nel 2005 accertava che tre clausole riprodotte negli schemi di fideiussione uniforme in passato predisposti da Abi (clausola di riviviscenza, rinuncia del fideiussore ad avvalersi del termine di decadenza di sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione per l’escussione, insensibilità della garanzia rispetto ai vizi dell’obbligazione garantita) si ponevano in contrasto con il divieto di intese restrittive.
Le disposizioni incriminate, seppur giuridicamente valide ed efficaci, erano state ritenute un ostacolo al libero mercato introducendo un ingiusto e sproporzionato aggravio della posizione del garante. Ritenuta l’illegittimità delle tre norme contrattuali, siccome frutto di intesa provata da fonte privilegiata (il citato provvedimento della Vigilanza), le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la Sentenza 41994 del 30 dicembre 2021, hanno risolto il contrasto preferendo, alla nullità totale della fideiussione e al rimedio risarcitorio, la via della nullità parziale.
Rilevato che l’interesse protetto dalla normativa antitrust è quello del mercato in senso oggettivo, e non l’interesse individuale del singolo contraente, un rimedio risarcitorio non offrirebbe la necessaria tutela collettiva. La nullità deve però essere limitata alle clausole oggetto di intesa e ciò sia per il principio di conservazione dei contratti, sia perchè, salvo prova contraria, entrambe le parti del negozio mantengono comunque un interesse alla stipulazione della garanzia.La Cassazione ha scritto una pagina importante, ma forse non risolutiva. Salvo casi particolari, il diritto e la tecnica contrattuale non integrano rigidi schemi che consentono di classificare un istituto come “bianco” o “nero”.
La nullità è limitata alle clausole che costituiscono pedissequa applicazione degli articoli dello schema Abi, dichiarati illegittimi dalla Banca d’Italia. E se una o più delle clausole incriminate fossero presenti nella fideiussione contestata ma non riproducessero pedissequamente quelle sanzionate dalla Banca d’Italia? La deroga all’art. 1957, rinuncia al termine di decadenza, integra del resto uno dei caratteri principali del contratto autonomo di garanzia. E se la garanzia non fosse omnibus, ma si riferisse a una determinata operazione? Si è così certi di poter affermare che tali patti, inseriti in una fideiussione specifica, integrino un aggravio ingiustificato della posizione del fideiussore se necessari a garantire condizioni più favorevoli al cliente (e non al fideiussore) del contratto di credito? Lo si era già evidenziato in questa rubrica il 31 ottobre 2020: mentre esiste un mercato del credito (il debitore può scegliere il soggetto finanziatore in base alle condizioni, anche di garanzia, prospettate), il fideiussore – che interviene nell’interesse del debitore – non ha alcuna facoltà di scelta, ma dovrà accettare la forma concordata tra finanziatore e finanziato.
La presenza delle clausole incriminate potrebbe far presupporre un’adesione anche postuma ad un’intesa vietata, ma anche qui la cautela è d’obbligo, risultando pur sempre tali disposizioni in sé valide, efficaci e meritevoli di tutela. Una garanzia non può del resto essere valutata senza considerare il rapporto garantito. Probabilmente non è ancora stata scritta l’ultima pagina.