Rimborsi o accordi: gli effetti del virus sui contratti
L’emergenza coronavirus comincia a far percepire i suoi effetti. Effetti che, se cumulati, esprimono una prima proiezione del danno sistemico. In termini legali, le pur indispensabili misure governative già hanno ripercussioni sulla possibilità di adempiere alle obbligazioni contrattuali o di fruire dei servizi acquistati. Cosa succede dunque ai contratti in essere? Viaggiatori, iscritti o abbonati hanno sempre diritto al rimborso? Le valutazioni sono ovviamente un work in progress in attesa di norme speciali.
Sul piano giuridico non c’è alcun dubbio: l’emergenza attuale è una causa di forza maggiore, cioè un evento straordinario, imprevedibile e sopravvenuto rispetto alla conclusione del contratto, estraneo alla sfera di controllo delle parti e a queste non imputabile. Quando la causa di forza maggiore è tale da impedire l’erogazione della prestazione contrattuale o l’utilizzazione della stessa (non posso partire per una vacanza da tempo prenotata) trova applicazione la regola della risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta prevista dall’articolo 1463 c.c.: la parte che non può eseguire la prestazione è liberata dall’obbligazione ed esente da responsabilità.
Ne consegue che non può essere richiesta la controprestazione e, qualora già ricevuta, dovrà essere restituita poiché viene meno il titolo che la giustificava. In sintesi: l’acquirente va rimborsato se ha pagato per un servizio che non può essere più prestato (o di cui e non può più servirsi). E ciò dovrebbe valere per i pacchetti turistici, i biglietti del treno, del teatro o della partita di calcio. L’impossibilità della prestazione apre tuttavia la strada a soluzioni alternative al rimborso, che possono rivelarsi tutelanti per le imprese impossibilitate a rendere il servizio e non penalizzanti per gli acquirenti. Ad esempio: optare per la sospensione del rapporto contrattuale.
Una soluzione che può giovare a entrambe le parti nel caso ad esempio di abbonamenti continuativi, per cui non avrebbe senso cessare del tutto il rapporto: entrambe le prestazioni vengono sospese per poi riprendere dopo l’emergenza. Altra alternativa è la rinegoziazione del contratto: un cambio data per il viaggio o per il biglietto del teatro entro un dato lasso di tempo dopo l’emergenza. La rinegoziazione presuppone però l’accordo delle parti: se l’acquirente non acconsente, scatta l’obbligo del rimborso. E se il contratto o le condizioni di vendita dicono diversamente? Potrebbe essere un problema e tradursi in una pratica commerciale scorretta sanzionabile dall’Antitrust.
A gennaio l’Agcm aveva aperto un’indagine contro alcune squadre di calcio di serie A che negavano il rimborso ai tifosi nel caso di partite disputate a porte chiuse.
L’emergenza coronavirus apre una nuovo spettro problematico il cui peso economico potrebbe non essere indifferente. Più in generale, la proposta di soluzioni alternative dovrebbe partire spontaneamente dalle imprese, senza attendere reclami e prima che sia il governo a tenere un pugno di ferro.