Pmi più aperte per cogliere la chance dei Pir alternativi

Debuttarono nel 2017 e negli intenti del legislatore i Pir (Piani individuali di risparmio) avrebbero rappresentato un’opportunità sia per i risparmiatori (esenzione dal pagamento delle imposte sui redditi se detenuti per almeno cinque anni) sia per le pmi in termini di apporto di capitali (70% del patrimonio investito in azioni e obbligazioni emesse da imprese italiane o europee stabilite in Italia e in parte quotate).

Complice la situazione economica mondiale non florida, poi affondata dalla pandemia, il progetto Pir, partito con il vento in poppa, nel 2019 ha subito una brusca frenata. Anche in considerazione delle possibilità di guadagno contenute, il mercato dei piccoli risparmiatori ha via via preferito affidarsi a prodotti a basso rischio.

A fine 2019 i Pir rappresentavano solo il 2% dei fondi aperti italiani. La fiducia nelle potenzialità del prodotto legate alla duplice finalità non è però mai venuta meno ed è stata da ultimo confermata dagli interventi introdotti di recente dal Decreto Rilancio. Grazie all’eliminazione di alcuni vincoli sono stati creati i Pir alternativi che, affiancandosi ai prodotti tradizionali, promettono risultati più appetibili.

Fermo il vantaggio fiscale, tre i tratti distintivi: la possibilità per i gestori di inserire indifferentemente nella quota del 70% del capitale dei Pir strumenti finanziari, prestiti e crediti di pmi quotate in mercati diversi da Ftse Mib e Ftse Mid Cap e non quotate; il limite di concentrazione dell’investimento in una sola azienda passa dal 10 al 20%; il limite di investimento è incrementato da 30 mila a 150 mila euro annui con un tetto massimo di Euro 1,5 milioni in luogo dei 150 mila dei Pir ordinari. Le maglie si allargano anche per la platea dei possibili investitori, potendo un soggetto detenere sia un Pir ordinario sia un Pir alternativo ed è prevista la possibilità per gli enti di previdenza di investire nei Pir alternativi fino al 10% dell’attivo patrimoniale.

Innovazione interessante ed ottimo volano di finanziamento per le imprese. Per cogliere tale opportunità si dovrà passare attraverso una riorganizzazione della governance interna. Il tessuto aziendale italiano è composto prevalentemente da pmi con azionariato familiare geloso del proprio gioiello e poco incline a offrire una disclosure completa su organizzazione interna e procedure decisionali, atteggiamento in antitesi con le aspettative del mondo finanziario.

Occorre pertanto ripensare la governance, studiando procedure che attribuiscano il giusto potere decisionale cui aspira il capitano di azienda in una cornice che al contempo renda chiaro il quadro in cui tale potere viene esercitato, consentendo altresì di verificarne l’operato.

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Laureato con lode all’Università degli Studi di Messina nel 2006, è entrato a far parte dello Studio nel luglio del 2007, divenendo associato nel 2010 e partner nel gennaio 2021
E’ iscritto all’albo degli Avvocati di Milano dal 2010. Si occupa prevalentemente delle problematiche afferenti al settore bancario, finanziario, societario e fallimentare. Assiste inoltre primarie Sicav estere in relazione ai profili di compliance e regolamentazione italiana, relativi, in particolare, agli aspetti inerenti l’offerta di prodotti in Italia.