Piattaforme digitali, aziende più difese dall’abuso di dipendenza
La tendenza normativa è nel senso di introdurre nuove tutele per chi (imprese o consumatori) si trovi a trattare coi giganti della rete che intermediano transazioni commerciali, servizi digitali e dati personali. E’ in cantiere una serie di norme sia in Europa sia in Italia: in Ue sono allo studio proposte regolamentari sui servizi e sui mercati digitali e nel frattempo anche in Italia del nuovo bolle nella pentola legislativa. Nel nostro Paese nel 2022 dovranno infatti trovare applicazione le norme introdotte da tre Direttive europee a tutela dei consumatori e relative tra l’altro ai contratti di fornitura di contenuti e servizi digitali e alla modernizzazione delle disposizioni sulle pratiche commerciali scorrette.
Nascono così nuove tutele anche rispetto ai servizi digitali «gratuiti», ossia quelli per i quali i consumatori non pagano denaro ma forniscono dati personali. Non solo: le piattaforme online saranno anche tenute a rispettare ulteriori obblighi informativi per garantire maggiore trasparenza e chiarezza nelle transazioni digitali, specie rispetto a pratiche di fissazione personalizzata dei prezzi e alla classificazione dei prodotti nei marketplace, anche con la previsione dell’obbligo di indicare «posizionamenti a pagamento». Dunque un livello di protezione elevato per i consumatori di tutta l’Unione Europea, visto che le norme, quali Direttive di massima armonizzazione, dovranno essere applicate uniformemente in tutti gli Stati membri.
Sono poi allo studio nuove tutele per le imprese che operano online e che possano trovarsi, come spesso accade, in posizioni di asimmetria commerciale rispetto alle grandi piattaforme digitali. Merita un cenno in tal senso il ddl Concorrenza approvato nel Consiglio dei ministri il 4 novembre e in particolare la norma che mira a rafforzare il contrasto all’abuso di dipendenza economica nei mercati digitali. Nell’ordinamento italiano gli abusi di dipendenza economica sono vietati già dal 1998. Un’impresa si può trovare nello stato di dipendenza quando nelle relazioni commerciali sia nella condizione di subire la posizione di forza altrui. In termini giuridici, vi è un rapporto di dipendenza economica quando un’impresa può imporre «un eccessivo squilibrio di diritti e obblighi». In questa valutazione deve essere presa in considerazione anche l’assenza di alternative per l’impresa economicamente dipendente.
Il ddl prevede una specifica disciplina rispetto all’operatività delle piattaforme digitali. Riguardo al profilo della prova, si presume lo stato di dipendenza di un’impresa che utilizzi i servizi di intermediazione forniti da una piattaforma digitale quando quest’ultima ha un ruolo-chiave nel raggiungere utenti finali o fornitori, anche in considerazione di effetti di rete o di disponibilità di dati. Si tratta di una presunzione relativa: è quindi sempre ammessa la prova del contrario, che può tuttavia essere ben difficile da fornire in alcuni casi, considerato l’ecumenico raggio commerciale di operatività dei colossi, rispetto ai quali si può agevolmente presumere lo stato di dipendenza di piccoli operatori che abbiano la necessità di essere online per offrire prodotti o servizi.
Discorso diverso varrà per altre piattaforme: l’Osservatorio istituito dalla Commissione Ue stima infatti che vi siano migliaia di piattaforme digitali costituite anche da piccole e medie imprese. La norma nazionale, se adottata, potrà quindi trovare applicazione anche in molti altri casi: ad esempio, nei confronti di marketplace che operino in settori di nicchia o altamente specializzati. Qui l’onere di prova contraria potrebbe essere più agevole da assolvere e la presunzione di dipendenza economica non potrà essere letta come un mero automatismo traducendosi in un ricorrente verdetto di condanna.