Negli affari la cultura non è patrimonio universale
Cultura contro moda? Si è molto discusso sui media -non solo nelle pagine di cronaca giudiziaria, ma anche in quelle dedicate all’arte- di una controversia iniziata ai primi di ottobre da un celeberrimo museo fiorentino contro uno degli stilisti francesi più famosi. L’oggetto del contendere è la “Nascita di Venere” di Botticelli, dipinto che, come tutti sanno, è esposto agli Uffizi. La casa di moda d’Oltralpe ne ha usato l’immagine su alcuni capi di una sua capsule collection (significativamente chiamata Le Musée): uso ritenuto illegittimo dal Museo in assenza di preventiva autorizzazione.
Il caso è intrigante perché gli Uffizi non hanno contestato a Gaultier una violazione del diritto d’autore -ormai scaduto da molto tempo-, bensì di alcune norme del Codice dei Beni Culturali italiano. Sono gli articoli da 106 a 110, che attribuiscono ai soggetti pubblici che hanno in consegna i beni culturali (ad es. palazzi, castelli, quadri e altre opere d’arte) di fissare le condizioni alle quali tali beni possono essere “usati”. In particolare, l’art. 108 del Codice stabilisce che ne può essere consentita la riproduzione a fronte del pagamento di un canone, normalmente da corrispondersi in via anticipata, restando comunque consentite alcune specifiche utilizzazioni senza scopo di lucro individuate dai commi 3 e 3 bis dello stesso articolo. Com’è intuibile, tali norme sono state introdotte nell’ordinamento per regolamentare lo sfruttamento della notorietà che molti beni culturali in Italia posseggono, consentendo al contempo ai vari enti che li detengono di rimpinguare le loro casse, spesso in affanno.
Va detto che gli artt. 106-110 del Codice hanno già trovato applicazione in alcuni casi portati all’attenzione della Magistratura. Un primo precedente ha visto come protagonista sempre gli Uffizi, che hanno incassato dal Tribunale di Firenze un provvedimento che ha inibito ad un’agenzia viaggi l’uso dell’immagine della statua del David michelangiolesco, avvenuto in un dépliant senza preventiva autorizzazione e senza pagamento di un canone (ord. 26/10/2017). Analogo provvedimento era stato ottenuto a seguito di una contestazione del Teatro Massimo di Palermo, che aveva agito per l’uso non autorizzato di un’immagine raffigurante il Teatro stesso da parte di una banca in un suo messaggio pubblicitario (sent. n. 4901/2017).
Molto recentemente, il Tribunale di Firenze è tornato a occuparsi del David, con un provvedimento (ord. 11/04/2022) che, di fatto, ha ribadito il precedente del 2017, ritenendo responsabile di violazione del Codice una società che aveva utilizzato in una sua pubblicità, senza autorizzazione, l’immagine di questa iconica scultura.
Cosa succederà nel caso Uffizi/Gaultier? Difficile formulare previsioni non conoscendo i dettagli della vicenda, pur se la giurisprudenza ora citata sembra a favore del museo fiorentino. Quel che è certo, però, è che, prima di riprodurre di beni culturali italiani, specie se molto noti, è buona regola verificare con l’ente pubblico che li gestisce se ciò sia possibile e a quali condizioni. Non pensarci prima può essere costoso, anche in termini di immagine, per chi lo fa, considerati i riflessi negativi di un’eventuale decisione di condanna.
Non è tutto. Potrebbero anche esistere -sui beni culturali più recenti- diritti anche di soggetti diversi rispetto a quelli attribuiti dal Codice: potrebbe, ad esempio, sussistere il copyright dell’autore o di suoi eredi. La cultura è un patrimonio universale, nel commercio le cose non sono così semplici.