Moda, copyright e design: più tutela dalla Corte di Giustizia
Un caso portoghese potrebbe cambiare, anche in Italia, la tutela del design, grazie al ricorso alle norme del diritto d’autore. Lo si deve a una pronuncia della Corte di Giustizia (12/9/2019, C-683/17), alla quale era stata posta una precisa domanda: è conforme alla direttiva Ue sul diritto d’autore (n. 2001/29/Ce) concedere protezione, in base al copyright, ai disegni e modelli industriali (in particolare, capi di abbigliamento) che siano dotati di uno «specifico effetto estetico»?
Nel caso di specie questo effetto era dato da forme tridimensionali e applicazione di tasche e altre componenti su vestiti. È risaputo che gli oggetti di design sono tutelabili con la registrazione come disegni o modelli, che attribuisce un’esclusiva di durata massima di 25 anni. Secondo la Corte, a questa tutela può aggiungersi anche quella di diritto d’autore (che arriva a 70 anni dalla morte dell’autore) in presenza di due requisiti: il prodotto deve essere originale e cioè rappresentare il risultato di una creazione intellettuale del suo autore; la creazione deve estrinsecarsi in un oggetto identificabile con sufficiente precisione e oggettività.
A giudizio della Corte, lo «specifico effetto estetico» richiesto in Portogallo di per sé non è rilevante per qualificare l’oggetto come «opera» e attribuirgli la protezione tramite copyright. Le motivazioni della sentenza sembrano indicare che i giudici europei abbiano stabilito che non sono richiesti requisiti ulteriori rispetto alla creatività e all’identificabilità dell’opera per accedere alla tutela autoriale: quando un oggetto presenta queste due caratteristiche, scatta subito, anche per le opere di design, al pari di ogni altra creazione intellettuale, la protezione del diritto d’autore, sommabile a quella per i modelli. Calando la pronuncia nel panorama italiano, è naturale interrogarsi sulla sorte del requisito aggiuntivo che anche il nostro ordinamento richiede: si tratta del «valore artistico» che la nostra legge sul diritto d’autore (art. 2, n. 10, legge 633/1941) esige, in aggiunta alla creatività, per tutelare il design con il copyright. La definizione di «valore artistico» è stata a lungo discussa e viene oggi collegata dai giudici italiani a elementi oggettivi quali «il riconoscimento, da parte degli ambienti culturali e istituzionali, circa la sussistenza di qualità estetiche e artistiche, o l’esposizione in mostre o musei, o la pubblicazione su riviste specializzate».
È pertanto difficile provarne l’esistenza in concreto, se non a distanza di tempo dalla messa in commercio di un prodotto, cioè quando viene «celebrato» per il suo aspetto particolare. La sentenza della Corte nulla dice in merito al requisito («italiano») del «valore artistico». Non è perciò chiaro se il requisito del «valore artistico» sarà ancora necessario né si può escludere un nuovo rinvio della questione alla Corte Ue da parte di un giudice nazionale.
Se però verrà confermata l’interpretazione del caso portoghese, le imprese del design potranno contare su una tutela più ampia: ma a patto che abbiano ben disciplinato, negli accordi con i loro designer, la titolarità del copyright. Occhio al boomerang, però: ancora più attenzione dovrà essere posta nel caso in cui ci si ispiri a prodotti altrui, anche se del passato: se non sono passati 70 anni dalla scomparsa del designer, il rischio di una causa per contraffazione tenderà a elevarsi.