Meta non vuole i diritti Siae ma rischia le sanzioni

Affascina e inquieta il braccio di ferro tra Meta (il gigante di FaceBook, Instagram e WhatsApp) e Siae (gestore dei diritti della maggior parte degli autori italiani) sul rinnovo delle licenze per lo sfruttamento dei brani musicali sui famosi social network.

Gli autori hanno ritenuto irrisorio il corrispettivo proposto da Meta e hanno insistito non solo per ottenere cifre decisamente superiori, ma anche per conoscere il traffico di utenti generato sui social grazie alla musica italiana e, quindi, il ritorno economico di Meta. Richieste rispedite al mittente. Già, però il diritto a conoscere questi dati è oggi previsto dalla legge sul diritto d’autore (art. 110-quater), introdotto in attuazione della Direttiva Copyright (2019/790/Ue).

L’apice dello scontro si è toccato quando Meta ha pronunciato il fatidico «prendere o lasciare» rispetto alla sua proposta. Siae non ha preso e Meta ha estromesso immediatamente tutti i contenuti Siae dalle sue piattaforme. Immediato l’intervento dell’Antitrust che ha intimato – in via cautelare – a Meta di tornare al tavolo delle trattative.

La questione in fondo è semplice: Meta è tenuta ad acquistare diritti da Siae? Evidentemente no. Tuttavia, esiste una norma (art. 9 legge sulla subfornitura) che mira a tutelare la parte «debole» di un contratto nelle ipotesi di abuso della controparte «forte». Secondo quanto finora accertato, l’aut aut di Meta integrerebbe un abuso della dipendenza economica di Siae.

L’abuso tipicamente si verifica quando il forte costringe il debole ad accettare condizioni ingiustificatamente gravose o discriminatorie o, per l’appunto, interrompe arbitrariamente le relazioni commerciali (come ha fatto Meta). Abituati a concepire questa norma come salvagente per imprese di medie e piccole dimensioni rispetto a controparti contrattuali tanto potenti quanto strategiche, fa un po’ specie vederla invocare da un grande attore del mercato, qual è il rappresentante degli autori italiani, soprattutto alla luce del fatto che questi per decenni ha operato in regime di monopolio.

Ma non è tanto questione di taglia quanto di squilibrio negoziale. Può Siae dirsi economicamente dipendente da Meta? In questo l’ente è agevolato da una presunzione legale (introdotta nel 2022) per cui nei rapporti tra un’impresa e una «piattaforma digitale che ha un ruolo determinante per raggiungere utenti finali o fornitori» si presume che la piattaforma sia in posizione di dominanza relativa sull’altra impresa. Ora, dunque, la palla passa a Meta cui toccherà dimostrare l’inverso, cioè l’inesistenza della dipendenza economica e, poi, escludere che la sua scelta imprenditoriale integri un abuso.

È bene ricordare, poi, che per questa fattispecie è competente il Tribunale Ordinario, anche per l’eventualmente condanna al risarcimento del danno. L’Autorità Antitrust può intervenire solo nei casi in cui ritenga che l’abuso abbia anche una rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato, giustificando un intervento pubblicistico.

La partita allora si gioca su quanto sia strategico per la filiera musicale sbarcare sui social network. Secondo l’Autorità, il mancato accesso di Siae alle piattaforme Meta ne indebolisce il ruolo di gestore collettivo di diritti autorali, in favore di altri enti concorrenti, falsando così la libera competizione nella filiera produttiva. Ancora, il Garante ha evidenziato anche le ricadute per gli utenti e content creators che sono privati della musica Siae sui social network e, peraltro, hanno subito un danno nel silenziamento dei contenuti caricati in passato che utilizzavano brani non più coperti da licenza.

Se gli effetti anticoncorrenziali fossero confermati, l’Agcm dovrà applicare una sanzione pecuniaria ed imporre a Meta tutti i comportamenti necessari a rimuovere l’abuso.

Un bel match, non c’è che dire. Esiti a parte, la vicenda dimostra come anche i giganti del web debbano preoccuparsi dei piccoli Golia: gioie e dolori degli oligopolisti.

Alfonso Campanella

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