Il marchio Esg un obbligo per attrarre investimenti

Il mantra Esg (Environmental, Social and Governance) è ormai in cima ai pensieri delle imprese. È presto per dire se si tratti di vera condivisione del principio o di opportunità. Ma quel che conta, alla fine della fiera, è il risultato.

Dal 10 marzo 2021 consultando i siti degli intermediari ovvero la documentazione di offerta dei prodotti, gli investitori devono poter conoscere il loro approccio ai rischi di sostenibilità, ovvero, chiarisce il Regolamento Ue 2088/2019, a «un evento o una condizione di tipo ambientale, sociale o di governance che, se si verifica, potrebbe provocare un significativo impatto negativo o potenziale sul valore dell’investimento».

Lo scopo è promuovere la transizione verso un’economia, appunto, più sostenibile. Dove sostenibilità non significa solo «green economy» ma anche impegno sociale, in termini di lotta alle diseguaglianze sociali e economiche nonché di buona governance, rispetto dei diritti dei lavoratori e delle logiche di un sano sistema di scelte fiscali. È bene chiarire che l’obbligo non implica il divieto di investire o promuovere attività non sostenibili ma solo quello di informare l’investitore rispetto alle politiche intraprese al riguardo.

La sostenibilità non può e non deve rappresentare un fardello. Il rispetto dei fattori Esg per un’impresa comporta certamente un costo, ma, anche alle luce del varo delle politiche economiche dell’Unione Europea per la ripresa degli investimenti post-pandemia, un’indubbia opportunità per l’industria che non ha mai puntato unicamente al fatturato. Pur non ignorando né demonizzando la sorte di quelle pmi che ancora non possono, specie sul versante ambientale, modificare immediatamente i loro processi produttivi.

Per tutti, però, verranno rivalutate la presenza, l’aggiornamento e la concreta applicazione di procedure, quali 231, privacy, antiriciclaggio, spesso e volentieri avvertite dalle imprese come inutili appesantimenti burocratici ma che, nell’ottica del gestore che deve decidere se investire o meno, rappresenteranno certamente un imprescindibile punto di partenza. E in tutto ciò il rating di legalità, varato in Italia quasi dieci anni or sono, cesserà di essere un optional per diventare un requisito minimo.

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Laureato con lode all’Università degli Studi di Messina nel 2006, è entrato a far parte dello Studio nel luglio del 2007, divenendo associato nel 2010 e partner nel gennaio 2021
E’ iscritto all’albo degli Avvocati di Milano dal 2010. Si occupa prevalentemente delle problematiche afferenti al settore bancario, finanziario, societario e fallimentare. Assiste inoltre primarie Sicav estere in relazione ai profili di compliance e regolamentazione italiana, relativi, in particolare, agli aspetti inerenti l’offerta di prodotti in Italia.