Fideiussioni Abi, un’invalidità con tanti dubbi
Nel 2005 la Banca d’Italia accertava che tre clausole riprodotte nello schema di fideiussione omnibus Abi si ponevano in contrasto con il divieto di intese restrittive, posto che non vi era la possibilità sul mercato di contrarre una garanzia senza quelle clausole. Da allora le Corti investite delle conseguenze dell’intesa accertata, hanno concluso per il diritto del fideiussore a essere liberato dall’obbligo di garanzia.
In ordine di tempo, secondo il collegio di coordinamento Abf (19 agosto 2020) tali fideiussioni sarebbero affette da nullità parziale limitata alle tre clausole incriminate.
Stiamo parlando: a) della clausola di reviviscenza (impegno del fideiussore a rimborsare le somme già versate dal garantito anche a seguito di annullamento o invalidità del pagamento); b) della rinuncia del fideiussore ad avvalersi del termine di decadenza di 6 mesi dalla scadenza dell’obbligazione entro il quale la Banca deve svolgere le sue istanze al debitore; c) della insensibilità della garanzia rispetto ai vizi dell’obbligazione garantita.
Si tratta di clausole giuridicamente valide ed efficaci che non violano di per sé alcuna norma di legge, ma che, ci dice la giurisprudenza, se riprodotte pedissequamente in una fideiussione sono da considerarsi il frutto di una intesa proibita. Le conseguenze? Nullità (assoluta o parziale) della fideiussione o risarcimento del danno. Muovendo dalla tesi per cui la nullità dell’intesa causerebbe la nullità del negozio a valle della stessa, secondo parte della giurisprudenza, l’invalidità delle tre clausole sarebbe tale da travolgere l’intero impegno fideiussorio; l’Abf, da ultimo, sostiene che le parti avrebbero stipulato la fideiussione anche in assenza delle tre disposizioni incriminate e, pertanto, la garanzia rimane valida al netto delle predette clausole.
Altro filone ha concluso per la validità dell’accordo fideiussorio riconoscendo però al garante, pregiudicato dall’intesa, una tutela risarcitoria. Benché l’effetto potrebbe essere lo stesso (risarcimento pari all’importo oggetto della garanzia e dunque sostanziale liberazione del garante), in questo caso il garante dovrà provare l’impossibilità di aver trovato sul mercato una fideiussione priva delle mele avvelenate.
Nessuna delle suddette prospettazioni convince del tutto. Siamo proprio sicuri che la presenza delle tre clausole all’interno delle fideiussioni possa effettivamente considerarsi, soprattutto oggi, a distanza di anni dal lontano 2005, il frutto dell’intesa? Siamo così certi che la loro presenza non possa (almeno oggi) essere considerata come la creazione di un diverso prodotto bancario di garanzia? Siamo certi che il comportamento del sistema bancario di avvalersi della garanza più efficace sia tale da minare il diritto di scelta del fideiussore? D’altra parte la previsione che esenta il garantito dall’obbligo di escutere entro il termine di sei mesi il debitore principale è ordinariamente presente nella fideiussione a prima richiesta ed è più che scontata nel contratto autonomo di garanzia (contratti sdoganati dalle corti). Sostenere quindi che clausole lecite divengono illecite perché ovunque presenti è qualcosa di altamente contraddittorio, che oggi, a oltre 15 anni dall’accertamento dell’intesa restrittiva eseguito dalla Banca d’Italia, va certamente ripensato.
Per sbrogliare la matassa occorre guardare più in là, superando le apparenze. Ad esempio, una recente pronuncia del Tribunale di Verona (sent. 6/10/2020) ha ribaltato la prospettiva, osservando come non vi sia affatto un mercato delle fideiussioni: mentre esiste un mercato del credito (il debitore può scegliere il soggetto finanziatore in base alle condizioni, anche di garanzia, prospettate), il fideiussore non ha alcuna facoltà di scelta, ma dovrà accettare la forma di garanzia richiesta dal finanziatore. Si tratta di una prospettiva nuova e difficilmente criticabile. Indubbiamente un passo avanti.