Neppure il Covid dà diritto a non rispettare i contratti

In occasione del lockdown durato oltre due mesi, a parte rare eccezioni (alimentare, tlc, elettronica…) l’Italia e il mondo intero si sono fermati con un atto d’imperio. Può questo evento imprevedibile e paralizzante giustificare un inadempimento agli obblighi contrattuali assunti in precedenza? Può un negozio non pagare il canone per i locali che conduce in locazione? Si può non pagare il distributore che ha provveduto a eseguire l’ordine fornendo la merce? L’affittuario di un ramo d’azienda è esonerato dal pagamento del canone? Un fornitore (di beni o servizi) può non adempiere alla prestazione cui si è impegnato, avendo l’acquirente della prestazione già pagato l’intero prezzo o un acconto?

Il legislatore dell’emergenza ha precisato che il rispetto delle misure emergenziali di contenimento dell’epidemia Covid-19 è sempre valutato ai fini dell’esclusione della responsabilità del debitore richiamando, allo scopo, gli artt. 1218 e 1223 cod. civ. (art. 3, comma 6-bis, dl n. 6/2020). Le imprese ingabbiate possono quindi ambire all’esclusione di responsabilità per il conseguente inadempimento? La questione non è semplicissima. Gli articoli richiamati rilevano ai fini del solo risarcimento del danno, che in tal caso non è dovuto. Per la liberazione del debitore dalla prestazione occorre invece riferirsi agli artt. 1256 e 1463 cod. civ.

Se l’impossibilità è definitiva l’obbligazione si estingue ma il contratto è risolto e occorre restituire quanto già ricevuto a titolo di controprestazione. Se l’impossibilità è temporanea, l’obbligazione si estingue ma il contratto è risolto qualora l’altra parte non abbia più interesse alla medesima.

Ciò significa che il negoziante o l’affittuario di una azienda potranno, in astratto, eccepire l’impossibilità di pagare i canoni di locazione o di affitto, ma dovranno contestualmente restituire l’immobile o l’azienda, causa risoluzione del contratto. Allo stesso modo, il fornitore di un bene o di un servizio potrà omettere l’esecuzione della propria prestazione ma dovrà rimborsare il prezzo eventualmente già ricevuto.

Peraltro, sotto diverso profilo, l’impossibilità è sempre stata valutata dai giudici in termini assai restrittivi, non potendola sostanzialmente configurare in relazione a beni fungibili quali il denaro, per cui, salvo applicazioni altamente innovative, l’istituto appare assai difficilmente applicabile nella generalità dei casi o quanto meno poco conveniente. L’esito conduce alla risoluzione del contratto e all’obbligo di restituire il prezzo o la parte di prezzo già ricevuta. Non diametralmente diversa è la conclusione cui si arriva se il debitore della prestazione dovesse invocare, in alternativa, l’istituto dell’eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 cod civ.).

Non si parla in questo caso di impossibilità, totale, parziale o temporanea, ma di eccessiva onerosità che determina, per effetto di avvenimenti straordinari e imprevedibili, uno squilibrio significativo del valore delle reciproche prestazioni dovute in base a un contratto (anche se qui non è il valore a cambiare bensì l’impotenza finanziaria del debitore a diminuire: altro capitolo di non poco momento). E comunque, anche in questo caso, se la controparte non intende scendere a patti (ridurre il prezzo), scatta la risoluzione, che nei contratti a esecuzione continuata o periodica, non opera retroattivamente ma solo dal momento in cui la controprestazione cessa. Per esempio, conduttore o affittuario vedranno saltare il contratto e dovranno pagare canone e affitto sino al rilascio dell’immobile o dell’azienda, mentre il fornitore di un bene o di un servizio, a contratto risolto, dovrà rimborsare il prezzo, o la sua parte, eventualmente già incassato. Virus o no, non esiste un diritto a rendersi inadempienti che consenta di salvare i contratti. Le soluzioni vanno ricercate altrove. Ma questo è un problema ben più vasto.

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Laureato all’Università di Pavia nel 1994, è entrato a far parte dello Studio nel settembre 1996, divenendo partner nel 2003. Iscritto all’ordine degli Avvocati di Milano dal 1998, si occupa prevalentemente di problematiche bancarie, finanziarie, contrattuali e societarie, e delle intersezioni applicative in tema di privacy, di e-business e di finanziamento alternativo alle imprese innovative (equity crowdfunding).