Valute e sovranismi monetari, incubo da sfatare ma su cui riflettere

Le ambasce per la formazione di una trimurti indo-russo-cinese capace di scalzare le valute di riserva occidentali sono esasperazioni emotive. I tre Paesi contano su circa 3 miliardi di abitanti ma sono economicamente disallineati: il Pil russo (dati pre-Covid, Banca Mondiale) sfiora 1.700 miliardi di dollari contro i 2.880 indiani e i 16.340 cinesi. La sommatoria di Usa (21,4) e Ue (17,4) è prossima a 38,8 trilioni.

Oggi fattori tecnici e politico-economici rendono impraticabile una rivoluzione dei fondamentali monetari del pianeta. Sul versante tecnico, essendo monete con un’affidabilità tale da renderle contropartita di scambio e strumento di pricing estero, le due primarie valute di riserva – dollaro ed euro – coprono rispettivamente 60% e 20% degli scambi mondiali. Né rupia né rublo sono considerate dal Fmi valute d’ancoraggio, lo yuan sì, ma la copertura non supera il 2%. Sul piano politico-economico, l’unico vero sogno di espansione monetaria è quello cinese, ma inseguirlo significa avviare un pericoloso processo di disaccoppiamento dai mercati occidentali, in particolare da quelli americani, dai quali la Cina è ancora assai dipendente, soprattutto sul piano tecnologico.

Di qui la scelta del governo cinese di assumere, al di là delle esternazioni di facciata, una posizione equidistante sul conflitto ucraino, che la Cina né condanna né appoggia. Essa non può inimicarsi la Russia, prima fornitrice di gas e materie prime, ma neanche intende assecondare (nel timore di essere a sua volta bersaglio di sanzioni) un paese che, con l’incauta e sanguinaria scelta bellica, sta squassando la stabilità dei mercati europei, sbocco irrinunciabile per la Cina. A inizio guerra Aiib, banca strategica nello sviluppo commerciale cinese, ha bloccato le attività in Russia e Bielorussia. In un mondo in perenne rivolta contro se stesso, nulla è impossibile, neppure che l’asse geopolitico e finanziario mondiale possa nel tempo virare a oriente.

Certamente non sarebbe un processo breve e il decoupling est-ovest sarebbe costellato d’ostacoli e variabili imprevedibili. L’Ue non potrà stare a guardare né proseguire nella sua dipendenza militare dagli Usa. Se l’euro in un ventennio ha inciso sul dominio del dollaro, la creazione di un sistema difensivo europeo comune è indispensabile: lo status di asset sicuro una valuta lo assume non solo grazie alla misura in cui è detenuta dalle banche centrali estere ma anche quando l’emittente gode di una marcata forza politica, che dipende anche dalla sua capacità difensiva. Va ripensato il concetto di pace, irrinunciabile e raggiungibile non con la frammentazione dei sistemi di difesa. Solo così l’ago della bilancia valutaria sarebbe l’asta della bandiera a 12 stelle.

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Nato a Casale Monferrato il 18 novembre 1962, alunno del Collegio Ghislieri, si è laureato con lode all’Università di Pavia nel 1985.
Allievo del Prof. Ghidini e suo stretto collaboratore da oltre trentacinque anni, è divenuto socio dello Studio sin dalla sua fondazione e riveste il ruolo di managing partner.
È iscritto all’ordine degli Avvocati di Milano dal 1990. Nell’ambito dello Studio, si occupa prevalentemente delle problematiche bancarie, finanziarie, contrattuali, e societarie.