Un credito agevolato speciale per l’emergenza
Pubblicata il 17 settembre, un’accurata e razionale analisi del Centro Studi Confindustria disegna la prospettiva estrema della crisi energetica. Due simulazioni, basate sull’assunto di un prezzo che resti sino al 31.12.2023 a 235 €/mwh (valore medio di agosto) e a 298 (livello medio atteso dei futures) rispetto al prezzo medio gennaio-giugno 2022 (€ 99), stimano, rispettivamente, un pil in decrescita del 2,2% e del 3,2% (valori cumulati 2022-2023) e dai 383.000 ai 582.000 posti di lavoro bruciati. Questa la realtà da cui muovere.
Ora, una chiusura totale del rubinetto non è probabile: riduzioni di dipendenza, impossibilità di stoccaggi infiniti o di rapide deviazioni ad est dei flussi imporrebbero al fornitore di scegliere fra vendere gas o bruciarlo. Gioco azzardato, alla lunga insostenibile ma proseguibile a singhiozzo, infiammando quel che basta i prezzi: non si sta al freddo (lo studio stima che, grazie alle riserve strategiche, la carestia massima varrebbe l’8% dei consumi) ma il costo non scende. Da più parti invocati, il price cap e la limitazione speculativa sanno di suggestione. Prima che con divisioni intraeuropee e difficoltà tecniche, il tetto deve misurarsi col rischio che il calmiere stimoli i consumi, tradisca i piani di risparmio ed esaurisca precocemente le scorte (già accaduto in Spagna, dove il calmiere elettrico ha provocato un rialzo del 20% dei consumi). Blocchi sul trading hub olandese (Ttf) sottrarrebbero liquidità ai mercati perché gli intermediari finanziari entrano in posizioni lunghe e permettono agli operatori fisici di coprire gli acquisti prefissando i prezzi. Il cap provocherebbe, poi, un’ondata di derivati Otc (anche fuori Ue, cioè fuori controllo immediato) che influirebbero sulle quotazioni.
Le contromisure dei governi locali aiutano ma soffrono di un duplice limite: vanno in ordine sparso, innescando rischi di cannibalizzandone energetica fra Stati membri (poco disposti a rifornirsi a vicenda se la situazione peggiorasse) e richiedono una decisione normativa, necessariamente in ritardo sulla volatilità dei mercati. Serve quindi uno strumento flessibile (congiunturale), utilizzabile dalle imprese e variabile al variare delle condizioni di mercato e dei singoli bisogni. Da qui, alcune modeste proposte.
1) Definire una soglia massima tollerabile, al netto di ogni altro sussidio o fondo perduto erogato dalle misure nazionali.
2) Costruire un meccanismo finanziario, basato sull’apertura di linee di credito alle imprese entro un plafond coerente al loro fabbisogno, per coprire l’eccesso di prezzo.
3) Spingere l’Ue a far sì che fondi e prestiti siano erogati tramite le banche ma garantiti a livello pubblico e quindi: a) fissare la restituzione in un ampio arco pluriennale successivo alla cessazione dell’anomalia, attraverso accantonamenti, proporzionali al tiraggio della linea e al tempo di rimborso e in regime di segregazione patrimoniale e totale neutralità fiscale, di importi pari ad una quota degli utili realizzati dai beneficiari (la quota accantonata non sarebbe tassata e risulterebbe progressivamente deducibile in fase di rimborso); b) fissare un tasso di interesse di mercato, ma sostenuto integralmente con fondi europei.
Alleggerito dalle misure interne, lo scarto verrebbe in buona misura neutralizzato e non pregiudicherebbe la continuità aziendale e la capacità di produrre avanzi destinabili in parte al rimborso dilazionato. Metteremmo in sicurezza filiere produttive, livelli occupazionali e redditi familiari scongiurando l’inevitabile rialzo dei prezzi al consumo e contraendo la spinta inflattiva. Costi e rischi per l’Unione sarebbero contenuti.