La normalizzazione dei dati personali che diventano moneta

Sarà avvincente seguire le istruttorie aperte dal Garante per la privacy sulle testate giornalistiche on line che permettono ai lettori di saldare l’abbonamento con cookies (cookiewall) invece che in denaro (paywall): cookies di terzi per profilare l’utente a fini di pubblicità mirata. Ma l’autorità nei suoi comunicati non si mostra scandalizzata, bensì preoccupata che di vera alternativa trattasi e sia ben chiara all’utente.

Come teorizzammo in uno scritto scientifico a quattro mani (Girino-Estrangeros, Quanto vale un dato? Qualche modesta proposta di risposta, in Privacy@, 3-2021. 38), la commerciabilità dei dati personali affonda le sue più recenti radici in tre sentenze (Tar Lazio 260-261/2020 e Consiglio di Stato 2631/2021) anticipatrici dell’attuazione della direttiva 2019/770, per la quale l’utenza a pagamento va tutelata come chi paghi facendosi profilare. «Il fenomeno della patrimonializzazione del dato personale [è] tipico delle nuove economie dei mercati digitali» sanciscono quelle sentenze, suggellando una verità già comprovata dalla prima fonte reddituale dei social: gli introiti pubblicitari, con buona pace della gratuità sbandierata da quelle reti che impongano la cessione dei dati senza dar scelta all’utente. Più onesta l’opzione offerta dall’editore e più intelligente perché amplia l’introito indotto e fidelizza i lettori.

Fin qui la sacrosanta trasparenza, ma l’alternativa contante/profilazione sposta l’asse d’analisi dalla tutela del dato contro la spoliazione incosciente a quella del suo volontario impiego economico. Con alcune conseguenze in apparenza rivoluzionarie. Fra le molte, due in particolare. La prima riguarda il tormentone del consenso al trattamento, necessario per una profilazione, non anche per eseguire un contratto. Ma se la cessione del dato equivale a controprestazione di un servizio, la regola consensuale cambia pelle e scopo: non più consenso all’uso del dato per fini diversi dall’esecuzione del contratto, ma consenso civilistico, indispensabile per stipulare il contratto. La metamorfosi funzionale del consenso implica logicamente la disapplicazione delle norme in tema di rilascio, opposizione al trattamento e revoca: se l’utente sceglie liberamente di non pagare un prezzo ma di cedere i suoi dati in cambio di un servizio, il consenso contrattuale non potrà essere revocato, perché sarebbe come non pagare un abbonamento (se il contratto non accordi una facoltà di recesso).

Il secondo effetto della monetizzazione del dato investe il suo valore, il suo peso specifico nell’equilibrio del negozio. Aggiornando l’istruttoria, il Garante dichiara di voler approfondire «le valutazioni di impatto eventualmente effettuate dai gruppi editoriali, come pure le analisi e i criteri adottati per la determinazione del prezzo dell’abbonamento alternativo»: in breve, i 100 euro di abbonamento sono uguali, maggiori o minori del ritorno pubblicitario da profilazione? Si riprospetta la linea d’indagine che inaugurammo in quello scritto.

Se il dato entra nel contratto digitale come componente essenziale, come corrispettivo, ha senso domandarsi se il rapporto negoziale conservi o no un suo equilibrio, perché una profonda sproporzione fra il prezzo in contante e il vantaggio ritraibile dalla profilazione potrebbe rilevare sotto un profilo di equità (sempre civilistica) del rapporto.

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Nato a Casale Monferrato il 18 novembre 1962, alunno del Collegio Ghislieri, si è laureato con lode all’Università di Pavia nel 1985.
Allievo del Prof. Ghidini e suo stretto collaboratore da oltre trentacinque anni, è divenuto socio dello Studio sin dalla sua fondazione e riveste il ruolo di managing partner.
È iscritto all’ordine degli Avvocati di Milano dal 1990. Nell’ambito dello Studio, si occupa prevalentemente delle problematiche bancarie, finanziarie, contrattuali, e societarie.