Pandemia & guerra: force majeure da ripensare

Vis maior, act of God, forza maggiore, force majeure. Ricorre abitualmente nei contratti di un certo spessore, specie in quelli internazionali. È l’evento imprevedibile, incontrollabile, irrimediabile. Evento capace di rovesciare la fisiologica economia di un contratto sino ad annullarla. La locuzione francese, risalente al codice Napoleone, è la più gettonata dalla modulistica preconfezionata ed assume spesso l’aria della clausola di stile, quella che in sostanza non dice nulla o che si pattuisce nella convinzione di non doversene mai servire. Covid, guerra e inflazione ne stanno invece dimostrando l’essenzialità, ma non certo nella sua normale declinazione. Per due ragioni. La clausola, per quanto preveggentemente costruita, non vince l’assioma per cui la realtà supera la fantasia. Inoltre la sua applicazione esenta le parti dalla responsabilità per inadempimento ma, in difetto di accordo, conduce alla demolizione dell’impianto contrattuale, come l’impossibilità o l’eccessiva onerosità sopravvenute, previste dal nostro codice civile e il correttivo della buona fede opera solo se il contratto ne dia spunti sufficienti, diversamente il giudice non potrà sostituirsi alle parti (v. relazione Cassazione 56/2020 sulla rinegoziazione di contratti perturbati dalle misure anti-Covid). Inoltre, la force majeure non considera le reazioni multiple che la crisi di un rapporto negoziale può provocare sull’indotto. L’incolpevole impresa che viva di esportazioni in Russia, paralizzate dalle sanzioni, mette a rischio-domino le aziende minori gravitanti nella sua orbita. La prima potrà forse beneficiare di soccorsi statali, ma le seconde? E l’esplosione dei costi energetici, quando colpiscano player maggiori che magari riescono ad attutire il colpo ma lasciano a piedi gli anelli più deboli della catena? Per i contratti in essere privi di un adeguato meccanismo rimediale non resterà che al buon cuore e alla lungimiranza di chi ha resistito condividere il beneficio con le filiere sottostanti. Ma nei nuovi contratti sarà inevitabile ripensare completamente l’architettura dell’imprevisto. Lungo tre direttrici.

La prima deve riorientare il costrutto della pattuizione prevedendo in dettaglio le casistiche di azionabilità. Dunque, non solo pandemie ma anche lockdown, perdite di fatturato, costi indotti per conservare il personale, forzata riduzione dei prezzi finali, indisponibilità di materie prime o componenti. Non solo guerre ma anche effetti collaterali delle risposte sanzionatorie, blocchi di import-export, svalutazioni monetarie, contraccolpi sulle imprese satelliti. Abbiamo tristi precedenti di cui far tesoro.

Lungo la seconda direttrice, sarà indispensabile ideare meccanismi di “specchiatura contrattuale”, tali per cui i metodi di assorbimento del colpo riverberino, sia pur con diversa intensità e magnitudine, anche a beneficio delle filiere: come la condivisione di chi ha ricevuto aiuti statali o realizzato extraprofitti concedendo un ragionevole incremento dei prezzi pagati ai subfornitori. Specchiatura non facile, da fabbricarsi con l’accuratezza di un mastro orologiaio, per non scivolare né nella beneficienza né nell’abuso.

Ma è lungo la terza direttrice che si misurerà l’efficacia di questo ineludibile ripensamento. Serve – so che la proposta suonerà scandalosa – un obbligo di contrarre e per farlo si dovranno concepire automatismi tale da evitare che un mancato accordo provochi la demolizione del contratto, cui oggi forza maggiore e simili conducono. Ad ogni singolo evento dovrà corrispondere un equo aggiustamento predefinito. Dalla giurisprudenza, si è detto, ci si può attendere poco. Dai legislatori ancor meno, perché un intervento di così vasto raggio è difficile da concepire, dato che l’imprevisto rimbalza in modi diversi su ciascuna realtà d’impresa. Dai privati, che invece la propria realtà la conoscono bene, ci si attende almeno una presa di coscienza: i contratti non si compilano coi moduli, si tagliano su misura.

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Nato a Casale Monferrato il 18 novembre 1962, alunno del Collegio Ghislieri, si è laureato con lode all’Università di Pavia nel 1985.
Allievo del Prof. Ghidini e suo stretto collaboratore da oltre trentacinque anni, è divenuto socio dello Studio sin dalla sua fondazione e riveste il ruolo di managing partner.
È iscritto all’ordine degli Avvocati di Milano dal 1990. Nell’ambito dello Studio, si occupa prevalentemente delle problematiche bancarie, finanziarie, contrattuali, e societarie.