Euribor manipolato, la Cassazione ci ripensa ma…
Euribor manipolato, la Cassazione ci ripensa ma…
Dopo lo strepito provocato dall’ordinanza 34889/2023, con la sentenza 3.5.2024 n.12007 la Cassazione fa un passo indietro ma apre (e chiude) un altro capitolo. Dimostrai (MF-Milano Finanza 9.2.24) l’insostenibilità della tesi affermata dall’ordinanza, secondo cui la manipolazione dell’Euribor, avvenuta fra il 2005 e il 2008 a opera di sette grandi banche del panel chiamato a contribuire al fixing del parametro e accertata 5 anni dopo dall’Antitrust, avrebbe contagiato qualsiasi contratto che assumesse a base l’indice, anche se l’intermediario fosse stato estraneo all’intesa o all’oscuro di essa. Tesi «universalistica» che avrebbe colpito anche contratti anteriori al patto anticoncorrenziale, presupponendo una sorta di responsabilità oggettiva e un inesigibile approccio profetico delle banche terze, con il rischio di propagarne gli effetti, a danno dei clienti, anche su conti correnti e titoli remunerati in base all’Euribor.
La sentenza 12007 inverte la rotta, esclude che l’applicazione dell’Euribor in rapporti accesi prima o durante il periodo incriminato possa considerarsi – in gergo antitrust – attuazione «a valle» dell’intesa «a monte», quindi esonera gli intermediari terzi ignari dell’accordo da ogni responsabilità per aver adottato la «clausola Euribor». Ma c’è un ma. Con un apparente rilancio la Cassazione riapre il tema sotto altro grandangolo: la potenziale indeterminatezza della clausola a motivo dell’adulterazione del parametro nel periodo controverso, come se l’Euribor non fosse stato quotato in quello stesso lasso di tempo. La rilettura del caso si condensa nel principio di diritto per cui chi intenda agire, a recupero del presunto maltolto, deve superare tre livelli di prova: dimostrare che l’Euribor sia stato oggetto di un’intesa anticoncorrenziale; provare che l’alterazione sia stata, in concreto, talmente significativa da privare di attendibilità il parametro, precludendone la sua obiettiva funzione; dimostrare lo scostamento fra l’indice genuino e quello alterato e, se impossibile, sostituirlo con un parametro normativo secondo non meglio precisati principi generali dell’ordinamento.
La prima prova è scontata, dato l’accertamento antitrust. La seconda è diabolica: neppure l’Antitrust Ue riuscì a stabilire l’esatta alterazione del parametro; avendo a fine ultimo il settaggio dell’indice su derivati di tasso, l’intesa comportò rialzi, ribassi o nessuna variazione rispetto al (teorico) reale valore, date le diverse posizioni dei partecipanti all’intesa a seconda che gli stessi fossero esposti in attivo o in passivo sull’Euribor oppure fossero indifferenti in quanto già ricoperti su entrambi i lati del mercato; da ultimo, proprio in ragione delle difformità di esposizione, la partecipazione all’intesa fu intermittente o occasionale (una delle banche coinvolte aderì per un solo mese). La terza prova è, per le stesse ragioni, impraticabile e il riferimento al tasso normativo secondo i principi generali non può che rimandare al tasso legale, la cui applicazione rivelerebbe amare sorprese per la clientela
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Si legge nella sentenza che il fixing dell’Euribor esprime «il tasso di interesse medio delle transazioni finanziarie in euro tra le principali banche europee». Non è così. Le quotazioni non esprimono i tassi realmente applicati fra le banche ma i tassi ai quali le stesse banche sarebbero disponibili a prestare o ricevere sul mercato interbancario. Parliamo di valutazioni, stime, ipotesi che, come tali, rendono assolutamente inattuabile la comparazione delle quotazioni alterate a quelle presuntamente vere. Non esiste insomma un tasso genuino preesistente col quale confrontare la grandezza alterata la prova dello scostamento significativo è di per sé, non amministrabile. Ma pur a voler percorrere l’impervio sentiero, fra il 2005 e il 2008 il trend dell’Euribor era molto prossimo ai tassi di rifinanziamento Bce: la significatività di alterazione, rapportata all’unico parametro alternativo, evapora dinanzi all’evidenza storica. Il nuovo capitolo di fatto si chiude poco dopo esser stato aperto ma lasciando vagabondare il dubbio. Meglio forse limitarsi alla prima, saggia statuizione sui contratti «a valle» o interpellare le Sezioni Unite come aveva suggerito a gran voce il procuratore generale e, più sommessamente, chi scrive.
Emilio Girino
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