Criptoasset fra riciclaggio, disguidi tecnici e incoerenze normative

Non si parla d’altro. Il tesoro americano oggi scopre che i non fungible token (Nft) hanno totalizzato 1,5 miliardi di dollari nel solo primo trimestre del 2021. Risorge l’incubo ricorrente: dietro alle cessioni virtuali d’opere d’arte non volteggeranno indisturbate lavanderie di denaro sporco? Déjà vu. Ma è proprio questa seccante litania della malferma decisionalità che sta impedendo l’approdo a una regolamentazione unitaria e chiara di una realtà da troppo tempo sottovalutata.

La molto ingenua angustia che sistemi di validazione algoritmica decentrati, capaci di produrre beni o valute scambiabili e non garantiti da una banca o un’autorità centrale, possano favorire i lavandai del crimine fa sì che ad oggi la normativa interna (Anti money laundering, Aml) guardi solo a questa faccia del problema. Da qui il paradosso: l’attuale legislazione qualifica come cambiavalute (cioè, secondo l’Aml, non operatori finanziari) non solo chi gestisca lo sportello delle criptovalute ma anche chi le emetta, offra, trasferisca, compensi o renda ogni altro servizio funzionale alla loro acquisizione, negoziazione o intermediazione.

Il risultato finale, cristallizzato nella legge primaria e nel Dm 13/1/2022 (Gu 17.2.2022), è che i cambiavalute virtuali sono equiparati ai cambiavalute ordinari, debbono iscriversi nel registro gestito dall’Oam (lo stesso che rubrica mediatori creditizi e agenti finanziari), ma i soli requisiti richiesti sono, per le persone fisiche, la cittadinanza italiana o europea o il domicilio in Italia e, per gli altri, sede legale o amministrativa o, se operatori Ue, stabile organizzazione nel nostro paese (art. 17-bis d.lgs. 141/2010).

Null’altro, nessun requisito di onorabilità e professionalità, nessuna specifica governance, nessun controllo comparabile a quello d’un intermediario bancario o finanziario: basterà iscriversi e comunicare periodicamente i dati identificativi dei clienti, il controvalore del saldo di operazioni fra valute legali e virtuali, il numero complessivo di operazioni trimestrali di conversione e delle relative voci in entrata e uscita, distinguendo fra contante e strumenti tracciabili. Data l’ampiezza dei servizi rendibili dai crypto-exchanger, è come se il cambiavalute dell’aeroporto o del club vacanze potesse non solo cambiare euro con dollari, ma anche emettere prodotti finanziari, negoziarli, compensarli. Perché questo, ad oggi, sono le criptovalute non-fiat: prodotti finanziari (come argomentai nel 2018, come la norma Aml riconosce, ricevendo oggi il dubbio critico di talune voci). Questo è e resta un diverso e ulteriore problema non da poco, su cui tornerò altrove, ma che coinvolge una capitalizzazione mondiale che oggi supera i 2.500 miliardi di dollari. Non più un gridolino anarchico, ma un serio fattore competitivo legibus solutus.

Tuttavia, liberi di far tutto, i cambiavalute virtuali debbono sottostare alle regole Aml. Onestamente, ve lo vedete un gestore europeo di wallet virtuali, che intermedia in Italia somme girategli da altri exchanger extra-Ue magari con qualche giro multiplo, riuscire a far adeguata verifica, scoprire l’origine dei fondi, distinguere fra clienti a rischio e comunicare all’Uif operazioni sospette? Su questo pericolante e cigolante palcoscenico di esitazione normativa è più che ovvio che gli Nft artistici, per loro metamorfica natura, diventino humus propizio ai riciclatori. A differenza di un’opera d’arte reale, la digitale non si possiede materialmente, se ne possiede il diritto di trarne profitto, il tutto attraverso semplici scambi di informazioni digitali, pagamenti o investimenti inclusi. Donde tutto questo stupore?
Dal 2010 in poi si disse che la finanza da serva si era fatta padrona dell’economia, oggi la tecnologia si fa padrona della finanza. Narrava il geniale Alberto Radius: «la riconversione [termine, nell’odierno contesto, azzeccato e profetico, ndr] non mi sembra una ragione per confondere lo schiavo col padrone».

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Nato a Casale Monferrato il 18 novembre 1962, alunno del Collegio Ghislieri, si è laureato con lode all’Università di Pavia nel 1985.
Allievo del Prof. Ghidini e suo stretto collaboratore da oltre trentacinque anni, è divenuto socio dello Studio sin dalla sua fondazione e riveste il ruolo di managing partner.
È iscritto all’ordine degli Avvocati di Milano dal 1990. Nell’ambito dello Studio, si occupa prevalentemente delle problematiche bancarie, finanziarie, contrattuali, e societarie.