Colossi bancari e istituti locali possono collaborare bene

Da sempre credo che un sistema genuinamente concorrenziale si basi sulla coesistenza di alcuni grandi player e di piccoli competitori in grado di mantenere alto il livello di gara, scongiurando gli ineludibili esiti oligopolistici cui la sola presenza dei primi condurrebbe. Gli assetti dell’economia moderna parrebbero additare l’opposto, data la prepotente tendenza all’aggregazione e al gigantismo. Un fenomeno ricorrente non solo nel milieu tecnologico, favorito dalla dematerializzazione del prodotto, ma anche nell’universo bancario dove la scelta concentrativa, ammessa quando non stimolata dalle vigilanze centrali, assume proporzioni e ritmi crescenti e dove la digitalizzazione dei servizi porta ad una non meno intensa eliminazione delle sedi fisiche. Non è però tutto così. Nella seconda metà del 2022 alcuni interventi di Augusto dell’Erba e Sergio Gatti (rispettivamente presidente e direttore generale di Federcasse) hanno dimostrato il ruolo che le banche del territorio hanno giocato e giocano nello sviluppo dell’economia italiana, specie nei comuni minori. Un’analisi del Centro Studi Met condotta su 20.000 imprese locali dimostra come il credito cooperativo di comunità abbia sensibilmente contribuito alla stabilizzazione, alla crescita e all’innovazione del tessuto delle Pmi con risultati ragguardevoli: i finanziamenti delle Bcc rappresentano il 23,7% del totale dei crediti alla piccola manifattura e all’artigianato, il 22,5% del credito al turismo, stessa percentuale per l’agricoltura, 10,9% per il commercio. Anche le masse intermediate sono aumentate. Secondo il World Banking Report 2021, il successo della banca 4.0 consisterà nel coniugare innovazione digitale e presidi territoriali. La “desertificazione bancaria” ha invece aumentato, fra il 2018 e il 2021, da 2586 a 3602 i comuni privi di servizi bancari.

L’atout della banca locale risiede nella conoscenza del territorio e della clientela, nella capacità di farsi attenta rabdomante dell’esigenza del prenditore, di semplificare e velocizzare il rapporto banca-cliente, di restituire una dimensione di umano confronto alle relazioni bancarie. Intendiamoci, non è che il colosso bancario sia peggio e la banca locale meglio o viceversa. Parliamo di due realtà eguali e contrarie ma non incompatibili, anzi complementari. Se è indispensabile garantire forti agglomerati bancari per fronteggiare la concorrenza mondiale, è altrettanto insostituibile la presenza locale per soddisfare la clientela tradizionale o decentrata. Dunque? Dunque si dovrebbe coraggiosamente superare lo scenario competitivo, traducendolo in cooperazione, senza che la seconda comprometta il primo né che il primo travalichi la seconda. La grande banca che abbia optato per l’eliminazione dello sportello potrebbe utilmente stringere accordi con la banca locale per collocare i suoi prodotti e servizi. In contropartita, la banca locale potrebbe fruire del supporto della maggiore per ampliare la sua offerta creditizia, garantendo a se stessa una maggior potenza di fuoco e al partner di maggior stazza un servizio più efficiente in termini di profilazione del cliente nel processo di valutazione del merito creditizio.

Non occorrono interventi normativi. Sono sufficienti accordi -non troppo diversi da quelli già attuati da un paio di decenni da banche che hanno scelto di non adottare o di sopprimere lo sportello fisico, ma più evoluti sul piano del reciproco valore aggiunto- volti a creare nuove sinergie tali da realizzare il virtuoso coniugio auspicato dal World Banking Report. In altre parole, non basta l’accostamento attuale fra i possenti grandi gruppi e le vivaci realtà locali. Serve andare oltre, comprendendo che, in un mercato ancora frastagliato e connotato più che dal digital divide dalle insopprimibili varietà geo-commerciali, culturali e operative, i modelli gestionali devono condividersi, non solo convivere. C’è una grossa fetta di business che sarebbe semplicemente ingenuo lasciarsi sfuggire.

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Nato a Casale Monferrato il 18 novembre 1962, alunno del Collegio Ghislieri, si è laureato con lode all’Università di Pavia nel 1985.
Allievo del Prof. Ghidini e suo stretto collaboratore da oltre trentacinque anni, è divenuto socio dello Studio sin dalla sua fondazione e riveste il ruolo di managing partner.
È iscritto all’ordine degli Avvocati di Milano dal 1990. Nell’ambito dello Studio, si occupa prevalentemente delle problematiche bancarie, finanziarie, contrattuali, e societarie.