Cds sguinzagliati e attivi a rischio: una lezione che non si impara
Non è tempo di Schadenfreude, di gioia per l’altrui dolore, un sentire di per sé meschino. Però molti si sono sfregati le mani al crollo di Credit Suisse e alla reazione violenta che prelude l’attacco al sistema bancario tedesco: nel mirino la campionessa Deutsche Bank, la cui quotazione è precipitata all’indomani del collasso svizzero. È tempo di riordinare un sistema governato da deliri creativi che lenti e indolenti governi non sanno né vogliono governare. Il crollo (temporaneo) della banca tedesca si deve a due fattori, uno contingente, l’altro radicato: l’impennata violenta dei Cds che assumono a sottostante l’affidabilità della banca e i dubbi sulla tenuta degli attivi. Non è un caso isolato, la stessa solfa potrebbe intonarsi per altri colossi europei, molto meno per quelli italiani. In passato affrontai quei dilemmi (MF-Milano Finanza 4/4/2009, 21/7/2013, 9/9/2017) attraverso un’analisi gelida e lucida, dunque inascoltata.
Incautamente equiparati a derivati finanziari (per beffa storica l’Italia anticipò l’equivalenza prima della Mifid: Dm 2.3.2007), i credit default swap non sono tecnicamente dei derivati, cioè strumenti imperniati sulla compravendita di un differenziale di valore. Sono metodi di assicurazione sull’insolvenza di un debitore, leciti per il creditore, ingiustificabili per chi non lo sia. Inventato nel 1994, il Cds equiparato a strumento finanziario si presta ad usi impropri dalle conseguenze laceranti se l’assicurazione sia stipulata da chi creditore non sia (Cds “nudi”) o da chi possa accenderne a iosa su uno stesso debitore (Cds multipli). Con licenza di una mia metafora che molti ripresero, asservire un Cds al bid/ask fa sì che il merito creditizio del debitore venga declassato o surclassato per effetto di manovre di trading, ovvio essendo che se io potessi assicurare la casa del mio vicino dall’incendio o assicurare la mia per cinque o dieci volte, sarebbe difficile resistere alla tentazione di dar fuoco alla casa del vicino, incassando il suo valore senza perdere nulla, oppure incendiare la mia guadagnando cinque o dieci volte quel che vale. È accaduto a Db ma può accadere a qualsiasi banca significativa ove la sua solidità dipenda dagli irrequieti umori di mercati sovraeccitati da news ansiogene e approssimative. Lo stesso accadde fra il 2009 e il 2011 per il nostro debito pubblico, aggredito senza ragione, quando Cds senza guinzaglio fecero schizzare lo spread a livelli stellari. Poi arrivò il Reg. 236/2012 e il suo stuolo di regolamenti attuativi a vietare Cds nudi o multipli sui debiti sovrani, non anche su titoli corporate.
Secondo fattore: il valore degli attivi. Il Risk Outlook di Consob del 2017 fotografava gli attivi bancari al 2016, rivelando banche francesi, tedesche e inglesi con in pancia poste ad alto rischio (derivati e titoli tossici ampiamente eccedenti gli attivi di prima classe) dovute ai variabili modelli di autovalutazione adottati dai singoli istituti. L’aggiornamento Trim (targeted rieview of internal models) del 2021 attesta che gli adeguamenti richiesti da Bce hanno aumentato di 275 miliardi le attività ponderate per il rischio insieme a 5.000 inviti all’adeguamento patrimoniale, ma l’esposizione reale è lungi dall’essere chiara. Quanti titoli tossici sono ancora in carico alle banche europee, quanti derivati sovrastimati? Nessuno ancora lo sa fino in fondo e l’opacità è leccornia per speculatori spregiudicati. Serve una presa di posizione più decisa delle autorità europee. L’Esma potrebbe avvalersi del suo più generale potere inibitorio su strumenti finanziari, inclusi Cds nudi o multipli su titoli non sovrani, la Bce potrebbe intensificare l’azione di adeguamento reale di valore degli attivi. Le banche europee sono certamente più solide delle statunitensi e delle svizzere, ma non è il caso di abbassare la guardia: la finanza globalizzata è sempre a rischio di contagio (pur se questo sia frutto di nevrosi di massa). Non è mai tempo di Schadenfreude. Ora meno che mai.