PROPRIETÀ INTELLETTUALE E INNOVAZIONE DIGITALE: È TEMPO DI CAMBIARE LE REGOLE

Con un saggio pubblicato sulla rivista “Giurisprudenza commerciale”, il Prof. Gustavo Ghidini, fondatore del nostro Studio, analizza gli attuali attriti giuridici fra il progresso dell’intelligenza artificiale e il diritto in materia di brevetti, proponendo soluzioni di riforma fondate sui principii basilari dell’antitrust.
Ogni discussione riguardante il rapporto tra proprietà intellettuale e innovazione digitale deve partire da un assunto molto semplice: gli algoritmi e la AI sono dei software, e come tali sono oggettivamente tutelabili. Attorno a questo punto di partenza, il Prof. Gustavo Ghidini propone, in un saggio pubblicato nella rivista “Giurisprudenza commerciale”, un’indagine riguardo a un possibile nuovo paradigma in materia.
“Il dibattito si è incentrato sulla questione del riconoscimento o meno di una ‘mano umana’ creatrice, soprattutto rispetto ai ‘prodotti’ frutto della AI cosiddetta ‘generativa’: quella che, basata sul deep learning, ‘va avanti da sé’ e si ‘autoistruisce’ ricercando e formando altri dati oltre a quelli originariamente immessi dal programmatore”, esordisce l’Autore. “La questione sorse in relazione all’indicazione formale, quale inventore o autore (nella domanda di brevetto o nella registrazione di copyright), di un robot anziché del software engineer che il robot aveva prodotto. Un’indicazione che formalmente strideva con una radicata concezione dei diritti di PI come ‘diritti della personalità’ e con specifiche indicazioni normative secondo cui l’attribuzione originaria del titolo di inventore o autore non sarebbe possibile se non in capo a esseri umani”.
Agli occhi del Prof. Ghidini, tuttavia, questo problema è puramente formalistico, essendo sotteso il contributo umano nella scrittura dell’algoritmo e nella fornitura di dati a cui attingere. Non a caso infatti la prassi amministrativa e giudiziale riconosce ormai centinaia di migliaia di titoli brevettuali su creazioni algoritmiche. Il vero problema centrale al riguardo appare piuttosto quello relativo al modo di produzione dell’AI, ossia la necessità di accesso a enormi quantità di dati, sovente sottoposte a proprietà intellettuale. È il caso, ad esempio, delle opere d’arte cui l’AI si ispira (letteralmente, si nutre) per produrre un’opera d’arte a propria volta. Si crea così un attrito tra la tradizionale concezione dei diritti esclusivi e la procedura tecnica necessaria all’AI.
Se i paradigmi classici del diritto della proprietà intellettuale non forniscono significative aperture a possibili soluzioni di questo attrito, un rimedio per quanto limitato è stato proposto dai principii dell’antitrust: in particolare quello volto a evitare che “da monopolio di una soluzione in effettiva concorrenza con altre, il DPI possa tradursi in monopolio di un settore”. Compito dell’antitrust è infatti promuovere la condivisione dell’innovazione contro il rischio di monopolio sulle essential facilities; lo strumento giuridico per conseguire quest’obiettivo è “l’affermazione di un diritto di accesso alle innovazioni ‘essenziali’ che i titolari di DPI su dette innovazioni, ‘deposto’ il diritto di escludere, debbano concedere a terzi disposti a pagare un equo compenso per l’uso a scopo lucrativo della tecnologia oggetto di protezione”.
Ciò riguarda tuttavia la risicata fetta delle soluzioni insostituibili, ma il funzionamento stesso dell’AI impone, argomenta il Prof. Ghidini, “un allargamento della frontiera dell’accesso aperto pagante a ogni tipo di opere e dati ai quali gli autori delle innovazioni digitali ritengano utile attingere: senza discriminazioni fra tipi e tipi di dati, e gradi di importanza dei medesimi”. Verrebbe così istituito un “paradigma generale di accesso aperto pagante”, che salvaguardi il legittimo interesse dei titolari di DPI ma non freni il progresso dell’innovazione tecnologica.
Questa soluzione sarebbe particolarmente utile nei casi in cui l’AI consentisse, grazie all’accesso a un numero illimitato di dati, la costruzione di infrastrutture ingegneristiche in maggior sicurezza, o una migliore salvaguardia della salute attraverso la pratica medica. “Per preparare l’avvenire occorrerebbero rilevanti interventi di chirurgia normativa”, conclude il Prof. Ghidini. “In primo luogo, un ribaltamento degli attuali principii di diritto positivo stabiliti dalla Direttiva europea sulle banche dati (96/9/CE), che concede al ‘costruttore’ un diritto sostanzialmente ‘escludente’ contro l’estrazione e l’uso sostanziale non autorizzato di tali dati. Inoltre, occorrerebbe un profondo ripensamento della linea equivoca seguita sul punto della PI dalla recente Proposta di Regolamento della Commissione (21 aprile 2021, COM (2021) 206 definitivo), che disciplina gli usi dell’AI in relazione al tipo e grado di rischio, per i singoli e la collettività, che detti usi possono determinare. Infine, i problemi relativi all’accesso più ampio e rapido ai dati e all’equo compenso, per gli usi lucrativi di questi ultimi, potranno essere gestiti in modo efficace solo sulla base di criteri definitivi, ‘proporzionati’ e trasparenti, nonché di rapida applicazione (attraverso soluzioni algoritmiche ad hoc) attuati da società collettive di gestione dei diritti.
Il Prof. Gustavo Ghidini, Senior Professor all’Università LUISS e Professore Emerito di Diritto Industriale all’Università Statale di Milano, ha di recente curato l’edizione del manuale internazionale Reforming Intellectual Property (editore Edward Elgar, 2023). La versione integrale del saggio cui fa riferimento questa News è consultabile in “Giurisprudenza commerciale” (Anno L, fasc. 3 – 2023, pp. 367-75), edita da Giuffrè editore, oppure in formato digitale sul sito del nostro Studio.