LA CASSAZIONE BOCCIA LA TESI DEI DERIVATI IMPLICITI NEI CONTRATTI DI FINANZIAMENTO

Con sentenza n. 4569 del 22 febbraio 2021, la Cassazione fa proprie le tesi della  miglior dottrina. Si tratta dell’annosa vicenda di cc.dd. derivati impliciti o incorporati, apparentemente nascosti in clausole di contratti di mutuo o di leasing denominati in euro ma parametrati al tasso di interesse di un’altra valuta, con le quali gli intermediari, erogando un prestito denominato in euro ma ancora al tasso di interesse di un’altra valuta, si assumono il rischio di variazione del tasso di cambio della valuta stessa.
Spezzando una linea di pensiero dottrinale e giurisprudenziale corrente (anche se egregiamente contrastata), la Suprema Corte sentenzia che “la clausola di indicizzazione al cambio di valuta straniera, inserita in un contratto di leasing “in costruendo”, non integra uno strumento finanziario derivato, essendo assimilabile solo finanziariamente, ma non pure giuridicamente. Al “domestic currency swap”, costituendo solo un meccanismo di adeguamento  della prestazione pecuniaria”.

Spesso – ma non sempre – qualificata impropriamente come un derivato o, residualmente, come clausola  immeritevole di tutela in quanto atta a snaturare un contratto di finanziamento introducendovi una fattispecie autonoma di investimento mobiliare e quindi dichiarata nulla, la clausola di indicizzazione al cambio viene definitivamente sdoganata da questa acuta sentenza.

Tra gli studiosi della materia dei derivati” recita la sentenza “è stato osservato – con argomentazioni che questa Corte ritiene di fare proprie – che, se dal punto strettamente finanziario, l’accostamento della clausola di indicizzazione al cambio ad uno strumento finanziario derivato appare corretto, perplessità, però sorgono in merito alla qualificazione giuridica in tal senso”. La sentenza accoglie finalmente questa tesi.

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